Università degli Studi di Siena

Università degli Studi di Siena

Dipartimento di Scienze Medico-Legali e Socio-Sanitarie
  • Medicina legale
  • Prof. Cosimo Loré

L'oftalmologia tra dubbi etici e certezze medico-legali

Cosimo Loré

SOMMARIO.

  1. Significato della bioetica e della medicina legale in oftalmologia.
  2. Cause di "medical malpractice" e attuali rapporti tra oftalmologi e pazienti.
  3. Responsabilità professionale, medica e specialistica, dell'oftalmologo.

1. Poche sono le discipline che alla stregua della oftalmologia dimostrano quanto sia oggi vero e valido l'antico assunto che impone alla scienza l'obbligo della "utilità" e alle sue applicazioni tecnologiche l'imperativo del rispetto dei diritti umani fondamentali, primo fra tutti quello alla vita e alla salute. Tale postulato, a ragione definibile "civico", conferisce alla conoscenza umana una dignità ed un significato altrimenti non ravvisabili nel faticoso cammino verso consapevolezze suffragate da verità scientifiche mutevoli e relative e da un dominio della natura conquistato a caro prezzo e in parte solo apparente. L'esigenza di riflettere sulla legittimità della "ricerca" e della "tecnica" trova crescente e per certi aspetti solo formale soddisfazione nella speciale disciplina dell'"etica", divenuta metodo applicabile ad ogni settore della scienza e della tecnologia, fonte di molti dubbi come sempre accade agli scenari che spaziano nell'ambito della speculazione teorica e filosofica. Di qui il non solo ideale nesso che lega l'etica in ambito biomedico (la cosiddetta "bioetica") alla disciplina medico-legale, nata dalla esigenza pratica di fornire dati biologici utili e di contribuire alla ricerca di adeguate soluzioni ogniqualvolta i problemi correlati alla tutela della vita e della salute dell'uomo devono trovare nelle leggi chiare e univoche risposte.[1] Ecco che la riflessione in bioetica non può non trovare nella medicina legale la sede conclusiva di un "ragionamento" che si deve chiudere in un "riferimento" normativo sempre discutibile ma ineludibile per l'umana necessità di dare un "regolamento" alla civile convivenza. Anche se molto più numerosi e visitati sono i siti Internet sui dilemmi dell'etica medica (basta digitare http://www.ddonline.gsm.com per entrare in "The Doctor's Dilemma. Essentials of Medical Ethics") ed intervistati ed ascoltati i guru della bioetica mondiale. Sui rapporti tra bioetica, medicina legale e diritto fondamentale risulta la recente monografia del Barni che esamina in maniera sistematica tutte le più dibattute questioni poste dall'intervento del medico, scienziato e professionista, sulle varie fasi della esistenza umana nel percorso "dalla bioetica al biodiritto" che gli studiosi e gli operatori di una moderna sanità possono affrontare solo con una cultura ed una coscienza adeguate al rispetto non solo formale di "una deontologia vivificata della bioetica".[2] È bene quindi riferirsi agli oftalmologi piuttosto che alla oftalmologia, così come è opportuno considerare la persona del paziente che all'oftalmologo si rivolge o che gli viene affidata dalla struttura sanitaria piuttosto che l'apparato visivo autonomamente inteso. Quanto agli oftalmologi dovremo prima riflettere sulle qualità di uomo probo, cittadino esemplare, medico capace che sono alla base di un corretto esercizio della specifica professione, presupposto indispensabile ed elemento costitutivo di ogni "buon oftalmologo", di ogni valentia professionale frutto non di retorica celebrazione ma di reale dimostrazione e di pubblica utilità. Solo la preliminare valutazione di doti umane, cultura civica e preparazione biomedica consentirà una compiuta definizione della idoneità dell'"oftalmologo", che non è nè potrà mai essere, proprio nella società della ultraspecializzazione, il "tecnico dell'occhio", dizione attinente a strumenti per la misurazione di strutture oculari o a esperti in manipolazione di materiali ottici. E dispiace dover constatare che un certo spirito primitivo e rozzo che contraddistingue le condotte della parte meno progredita e colta della società stia pervadendo anche ambienti accademici che dovrebbero rappresentare la "punta di diamante" di istituzioni di ricerca e formazione identificabili nella denominazione di "Alta Scuola"...[3] La bioetica e la medicina legale non potranno allora apparire l'ennesima e magari astrusa materia di studio ai medici dotati di umana sensibilità e civica educazione cui si richiederà solo la maturazione delle caratteristiche di buon senso comune ed il perfezionamento della conoscenza di elementari regole giuridiche, rappresentando tali discipline l'indispensabile riferimento (ed il naturale "sentimento"...) per la consona impostazione della condotta professionale e per la corretta soluzione della complessa problematica che ogni ambito di attività specialistica pone. C'è forse bisogno di particolare preparazione e speciale studio per comprendere che è buona e necessaria norma, anche per l'oftalmologo, la chiara e completa redazione di qualsivoglia documento attraverso una scrittura che prenda le mosse da una data, descriva e distingua l'ambito delle notizie anamnestiche (comprensivo anche di ogni sintomo non verificato ma solo riferito) dalla definizione del quadro obiettivo (che deve essere caratterizzato dai connotati dei fatti dimostrabili e documentabili e quindi nell'eventuale processo penale rubricabili alla stregua di "prova")[4], si concluda con la firma dell'estensore dell'atto, sia esso certificato, referto, relazione specialistica, richiesta di esame o consulenza e soprattutto cartella clinica,[5] documento, quest'ultimo, decisivo in ogni successiva indagine sanitaria o giudiziaria, analisi scientifica o pratica assicurativa, valutazione della idoneità o della invalidità? Si deve insomma arrivare a dire più esplicitamente che l'attività medica, anche quella esercitata dall'oftalmologo, deve essere vissuta e sentita sè alla stregua di professione liberale ed espressione artistica (potestà di curare) ma conosciuta e ben compresa nella sua drammatica valenza di momento essenziale di garanzia della vita e salute umana, di attività sempre e comunque di natura pubblica e soggetta a controlli e norme morali e soprattutto giuridiche (dovere di ben operare) che il medico non deve sopportare con fastidio come gravame e limitazione ma rispettare quale naturale, logica prima che legale, e qualificante caratteristica della sua professione ? Riflessione che vien facile pur che ci si pensi, piuttosto che medici cui sia consentito il libertino esercizio della propria professione, cittadini cui sia garantita la tutela del diritto alla sopravvivenza e al benessere! In sostanza, è proprio al medico più colto e raffinato, quale si presume debba e possa essere l'oftalmologo, che si chiede la consapevolezza della pratica medica quale "arte seria" e quindi l'attitudine a corrispondere pienamente alle aspettative dei cittadini e a rispondere serenamente dei propri atti! Bioetica quindi e medicina legale non da sfondo nè da ornamento di una elegante attrezzatura culturale e di un ricco armamentario professionale! Ecco perchè prima della specifica disciplina e per una corretta (anche tecnicamente...) attività professionale bisognerà ristrutturare le varie Scuole mediche in termini anche bioetici e medico-legali, anche attraverso adeguati "aggiustamenti" dell'ordinamento degli "studi" in Italia. A cominciare dalla alfabetizzazione linguistica, emotiva, civica, premesse di ogni successiva preparazione biomedica, specialistica, chirurgica.

2. Pur se in elenco apparentemente brutale si possono brevemente richiamare le note ma non debellate noxae di medical malpractice in ambito medico rimandando a precedenti più ampie analisi.[6] Prima causa di medical malpractice: la politica. Se il riordino degli studi, a cominciare dall'insegnamento della educazione civica da sempre disatteso fino alla valutazione della reale idoneità degli aspiranti operatori sanitari e alla successiva formazione e selezione di medici e specialisti, dipende dalla specifica legislazione, se la riorganizzazione dei servizi sanitari non può realizzarsi che attraverso un miglior governo delle aziende ospedaliere, funzionamento degli organi di controllo, definizione della natura e dei limiti dell'attività libero-professionale, risulta evidente che l'origine ma anche il rimedio ai mali della medicina è la tanto disprezzata "politica", unico luogo da cui possono scaturire nuove norme per una modifica di abitudini e costumi, oltre che per la regolamentazione di atti e comportamenti. Seconda causa di medical malpractice: la famiglia. E' auspicabile che il "popolo sovrano" di costituzionale definizione riesca finalmente ad interpretare la propria sovranità in termini soprattutto di responsabilità non dimostrandosi riottoso e recalcitrante di fronte al percorso obbligato della crescita culturale e civile, pena la persistenza di una "malpratica medica" che affonda le proprie radici nelle paludi limacciose del familismo italico, dove il rifiuto di seri e responsabili impegni trova coperture compiacenti e pietistiche protezioni in parenti ed affini adulti solo per l'anagrafe, in realtà rimasti ai tempi di mitiche figure professionali (l'avvocato e il medico, il dentista e l'oculista) cui un tempo spettavano benefici economici e riconoscimenti sociali sol per il titolo loro conferito dagli Dei più che per l'arte e la perizia dimostrate. In sostanza si preferiscono illusorie scorciatoie verso il facile guadagno ed il prestigio sociale alla lenta marcia verso l'opportuno decoro e la doverosa perizia: un fregio accademico anche a prezzo dello sfregio alla speranza di sicurezza dei cittadini ed anche di se stessi! E' a questo malcostume domestico che va ascritto un primum movens dei guasti e dei guai della medicina. Terza causa di medical malpractice: l'università. Certo sussistono anche responsabilità da parte dei medici e di chi li forma e legittima dimenticando che preparazione teorica e capacità tecnica non bastano a configurare un professionista, se sprovvisto di coscienza etica e conoscenza deontologica, correttezza comportamentale e sensibilità sociale, doti in carenza delle quali il medico sarà esposto, malgrado il diploma, alla accusa, solo apparentemente paradossale, di esercizio abusivo della professione e considerato punibile pur se tecnicamente perfetto[7] (si pensi al famoso caso del chirurgo Massimo accusato di omicidio preterintenzionale per la semplice mancanza di adeguato consenso da parte di un paziente pur correttamente trattato sotto il profilo tecnico): per contro sarà facilmente perdonato o neanche citato il medico che abbia commesso un errore in buona fede e con umano rispetto.[8] E poi tutte le volte che un esame è "favorito" o un concorso è "truccato" o risolto, come taluno propone, con calcoli solo algebrici, così ogni volta che si bara per "far carriera", anche in ambito accademico, ogni volta che si pubblica una casistica "arricchita" grazie all'inventiva di pseudostudiosi (eppure basterebbe confrontare i dati delle cosiddette statistiche con i ricoverati reali) e quando una relazione od un articolo sono apocrifi per il notorio assemblaggio di scritti altrui o la sfacciata traduzione di autori magari lontani ed esotici (memorabile il caso napoletano del cosiddetto "Professor Copia" !), così anche se si omette in bibliografia solo l'articolo da cui si è tratto troppo insegnamento e... giovamento e pure nell'ipotesi, quasi "normale" in certa letteratura medica, delle folte schiere di nomi di autori "del nulla" uniti solo dal vincolo del reciproco scambio,[9] ed infine nel caso non infrequente della ricerca realizzata grazie al sacrificio oscuro di qualche anonimo "collaboratore", ebbene in ognuna delle situazioni prefigurate è da identificare una delle principali ragioni del degrado della cultura e della professione medica.[10] Quarta causa di medical malpractice: la sanità. Va detto che la categoria medica, un tempo casta dominata da ciarlatani quasi sempre impuniti (si pensi al fatto che nell'antichità si poteva impunemente trapanare il cranio al paziente per farne uscire gli spiriti maligni...), paga un prezzo sproporzionato alle colpe reali proprio da quando la medicina è divenuta scienza, cioè esperimento misurabile ed esperienza verificabile, e la sanità si è organizzata nelle aziende e regolamentata nei codici, proprio in questo secolo di grandi conquiste scientifiche ed eccezionale progresso sociale. In effetti a fronte della crescita imponente e del miglioramento costante del patrimonio biologico dell'uomo constatabile dall'allungamento della vita media e dall'incremento della statura umana e soprattutto dalla moderna concezione della salute intesa nel più lato significato di benessere e dalla più civile consapevolezza del senso politico ed etico prima che tecnico e scientifico della professione medica, paradossalmente è cresciuto il contenzioso contro i medici,[11] per il crollo di quel rapporto di fiducia in passato spinto a livelli fideistici, caratterizzato dal prestigio di un medico autorevole e spesso autoritario (si pensi al terribile Dottor Purgone di Molière che rimprovera il suo malato immaginario Argante per essersi "...sottratto all'obbedienza dovuta al medico curante..."), poi divenuto paternalistico e protezionistico, infine competitivo-concorrenziale, inevitabilmente destinato al conflitto.[12] Rapporto medico-paziente: natura, limiti e ruoli. Se è vero che a questa scomoda condizione si è risposto con gli eccessi della "medicina difensiva" e talora persino disumanizzata che vede ormai trionfare la burocrazia dei moduli, gli esami di laboratorio, le macchine ed i computer sui momenti fondanti e qualificanti l'attività medica (l'anamnesi e la visita, queste sconosciute...), è anche vero che il cosiddetto rapporto medico-paziente si è codificato in una dimensione (e direzione) a dir poco sui generis: si rifletta, prima di predicare e praticare il rituale del cosiddetto consenso informato (rectius firmato !), sulla natura di detto rapporto, tutt'altro che paritario e certo non favorevole al medico.[13] Nessuno ha mai scritto nel testo dei molti "Studi" e delle troppe "Leggi" quanto è di assoluta evidenza e di costante evenienza, nessuno ci ha mai insegnato e riconosciuto quella che è la seconda, conclusiva e spesso fatale parte della storia del cerusico (o cireneo ?)[14] che incontra il sofferente: tutti, da Ippocrate in poi, sappiamo e ripetiamo che il medico dovrà essere riservato, dovrà comunque rispettare la dignità, la libertà e la personalità del paziente, dovrà far del suo meglio per alleviare il dolore e tentare, con obbligazione di mezzi e non certo di risultati, la via della guarigione o almeno della sopravvivenza; nessuno ha però mai segnalato e adeguatamente ponderato il fatto che il malato non ha obblighi, non ha da esser riservato e discreto, nè è tenuto alla reciprocità nella informazione: quanto al consenso vi è da notare che recenti storie di cure miracolose hanno fortemente messo in discussione perfino la libertà dei medici di prescrivere, di decidere e di dissentire dalle richieste e dalle pretese dei malati.[15] Ma il peggio può ancora accadere, perchè il paziente in qualunque momento, sull'onda emotiva di qualsiasi suggestione o suggerimento, può decidere di interrompere il rapporto di fiducia non solo rivolgendosi ad altro sanitario ma rivoltandosi contro il professionista nel nome di motivazioni la cui fondatezza sarà chiarita dopo querele, "giornalate"[16] e interminabili processi penali e civili che esiteranno in ogni caso in un grave nocumento per il medico, indipendentemente dalla conclusione formale del procedimento e dalla sancita incolpevolezza dell'imputato. E l'iniziativa giudiziaria potrà partire anche a paziente defunto per l'"idea" di un parente, la cui volontà, irrilevante giuridicamente finchè il malato vive, è legittimata fino all'arbitrio non appena questi esali l'ultimo respiro. Pertanto anche il migliore oftalmologo, animato dai più sani e fini dubbi etici e ispirato dalla più corretta deontologia professionale, è affidato alla clemenza dei pazienti prima che delle Corti... Si pensi all'alta percentuale di pazienti che si recano dall'oftalmologo guardandosi bene dal portarsi dietro le lenti da vista e tutto ciò che potrebbe essere di ausilio allo specialista ed allo stesso paziente (fluoroangiografie, esami ecografici, cartelle cliniche, certificati medici sostituiti da fotocopie di fatture, ricevute e scontrini...). Paziente dovrebbe essere quindi il medico nell'indagare con cortesia il malato attraverso una accurata anamnesi e una approfondita visita. Se la fase anamnestico-clinica è sempre più "evitata" dal medico non è certo per la "modernizzazione" e "computerizzazione" della medicina ma per ragioni non certo tecnologiche: quello che manca, prima che l'amore per la professione, è l'interesse per il prossimo in genere ed il malato in particolare (la retorica della missione e della vocazione è una colossale "balla"); l'altro motivo essenziale è la non conoscenza della semeiotica medica, senza la quale non è possibile procedere all'esame clinico riducendosi la professione medica ad un "bluff" e dovendosi ricorrere all'alternativa di una strumentazione preferibilmente sofisticata e affidata ad altri (non il vecchio stetoscopio o lo sfigmomanometro ma una bella risonanza che se non risolve sempre comunque soddisfa il bisogno del paziente di essere sottoposto a tecnologie avanzate...)... In sostanza e in sintesi il paziente non esiste se non come categoria platonica: nella realtà il medico, specialista o non, si può imbattere in una umanità rappresentata dalle più diverse (e difficilmente riconoscibili nel breve spazio degli accertamenti anamnestico-clinici) personalità la cui variabilità è legata a molteplici fattori (età, sesso, intelligenza, carattere, scolarità, cultura, capacità di comunicare, esistenza di disturbi psichici, stati di decadimento cognitivo, effetto di sostanze psicotrope). Le osservazioni epidemiologiche e la quotidiana esperienza consentono di rilevare come molti miti ma anche certezze consolidate della dottrina giuridica e medico-legale non fanno più parte di un panorama sanitario dove dominano comportamenti così frequenti da potersi ritenere rituali perchè mossi da semplici fondamentali bisogni e desideri.[17] Si può quindi affermare che il medico ha in genere davanti una persona che desidera di sfogarsi e raccontarsi seguendo percorsi non utili o fuorvianti rispetto agli obiettivi della diagnosi e della cura ma conformi alla propria sfera emozionale (di malato immaginario o terminale...), una persona orientata al silenzio o al mendacio proprio su fatti o particolari essenziali per la definizione clinica del caso, non interessata ad una razionale anamnesi nè bramosa di dati scientifici e probabilistici nè tampoco di assunzioni drammatiche di responsabilità di fronte ad eventi quali il dolore, la malattia, il rischio, l'invalidità, la morte; una persona che vuole solo essere tranquillizzata e se possibile illusa, aiutata a morire ma soprattutto a vivere o almeno a sperare, affidando decisioni e responsabilità ad altri (parenti o medici) che poi eventualmente, specie a forze ritrovate, sarà pronta a rinnegare e diffamare se non a denunciare. Una persona non molto dissimile da quella che ogni giorno si può incontrare sul palcoscenico della vita e che lo stato o la presunzione di malattia non fa certo improvvisamente cambiare ma solo peggiorare esaltandone gli atavici difetti e le ancestrali paure. Una persona che la sofferenza del male e lo spettro della morte rende più piccola e indifesa alla ricerca di qualcuno che non tanto la curi quanto se ne prenda cura, se la prenda a cuore... Non a caso le statistiche dimostrano che ancor oggi sono prevalenti sul pianeta coloro che preferiscono le medicine alternative e le pratiche magiche alla razionalità scientifica e alla efficacia tecnologica! Tale realtà non potrà essere cambiata da nessun modulo di informed consent o questionario di customer satisfaction se non si comprenderà adeguatamente lo stato reale di chi a suo modo valuta e solo apparentemente dispone di sè e decide della propria vita. Il medico più che informare e informarsi dovrà intuire, prima che curare al meglio dovrà innanzitutto dimostrare di prendersi cura al massimo, sdrammatizzando sempre e tranquillizzando ove possibile pazienti da cui dovrà sempre guardarsi perchè indifesi e fiduciosi solo momentaneamente, pronti a divenire con l'aiuto di parenti e legali una squadra all'assalto dell'ingenuo professionista che ancora credesse alla bella favola del buon padre di famiglia... È quindi ben chiaro come e quanto la bioetica e la medicina legale siano fortemente correlate tra loro e perchè rappresentino insieme il fattore di essenziale ispirazione e determinante indicazione per l'esercizio di qualsiasi attività medica, specialistica e non: si deve in effetti riconoscere che non può esistere attività professionale senza una adeguata sensibilità etica ed una sufficiente preparazione medico-legale... Se il medico poi non documenta dettagliatamente le varie subentranti fasi della informazione, del consenso, della anamnesi, della visita, degli esami strumentali, del decorso clinico, dei controlli specialistici, delle decisioni del paziente ove difformi dalle prescrizioni soprattutto se motivo di pericolo per la salute o per la vita (rifiuto di interventi necessari, non osservanza della terapia, richiesta di alternative alle emotrasfusioni, dimissioni volontarie) rischia non solo l'incriminazione ma anche la condanna, posto che solo ciò che risulta dagli atti di valore legale (certificato, cartella, relazione, referto) fa fede nella fase istruttoria e dibattimentale del processo penale: come si dice, "carta canta" ! Per essere più chiari: al paziente basta la parola, al medico necessita ma può non bastare una supplementare (e complementare) attività di compilazione di una documentazione da cui si difende con la calligrafia per antonomasia illeggibile, con la sommaria, omessa o postuma redazione delle cartelle cliniche, con l'acquisizione del consenso del paziente solo in poche rituali occasioni (consenso informato e dimissioni volontarie), con la persistente pratica dei certificati compiacenti... Difficile parlare di etica e di una disciplina come la medicina legale, una volta chiamata "medicina politica", in una società che mena vanto di non occuparsi di politica... C'è da domandarsi se un medico specialista, pur dotato di regolari diplomi, ma talora dall'italiano incerto, dalle convinzioni civiche contraddittorie, dalle basi biomediche vaghe e vacillanti, un medico che del camice si fa scudo per proteggersi dal confronto e dall'incontro con il suo prossimo, può in sintesi un simile cascame (come lo definisce il Franchini)[18] affrontare e risolvere brillantemente i problemi, molteplici e complessi, di comunicazione con il malato, di correlazione con colleghi e strutture, leggi ed enti, di definizione diagnostica e azione terapeutica, di esecuzione strumentale e applicazione tecnologica... La complessità della scienza medica moderna, il degrado crescente dei rapporti umani, l'animus pugnandi del paziente e la sua pretesa di risultati, la barriera cartacea che incombe sul medico, la comunicazione tra medico e paziente ridotta a rituale inutile, la svalutazione dell'anamnesi ed il fastidio della visita, l'affermarsi di una pseudocultura sanitaria fondata su errate ed equivoche convinzioni: parenti presenti alla visita e da far partecipare alle decisioni, malato che è visto e che si vede come un assemblaggio di parti separate ed autonome, medico sentito come tecnico addetto solo alla riparazione di dette parti e obbligato sempre più al risultato, atteggiamento e orientamento giurisprudenziale sempre più compiacente nei confronti di siffatta pseudocultura, isolamento e accerchiamento del medico provvisto di mezzi inadeguati alla propria tutela... Rispetto al quadro evidenziato dal Franchini nel 1985 e dall'Introna nel 1996 appare oggi accentuato un fenomeno di degrado della professione che rischia di ridurre diplomi e camici a strumenti di finzione ed inganno, anche per l'incentivo all'uso, peraltro utile, di linguaggi, un tempo ignoti ai medici (quali la lingua inglese e informatica), destinati ad aggravare il disagio se impiegati non come completamento degli strumenti della comunicazione ma a copertura di inemendate carenze di base, di opinabili idoneità e capacità di correlazione con il proprio prossimo prima che con il malato. Lo speciale "dialogo" dell'anamnesi ed il delicato "esame" della visita costituiscono la sostanza della responsabilità del medico e del rapporto con il paziente che è reso possibile e lecito dalla successiva opera di informazione, preludio al decisivo atto del consenso (orale o scritto a seconda della difficoltà e della delicatezza delle successive prestazioni professionali) senza il quale non è dato al medico di attuare alcun trattamento terapeutico od ulteriore accertamento diagnostico. Sul tema della moderna responsabilità medica esiste oggi , oltre alla citata monografia del Barni,[19] il caposaldo dottrinario e la banca dati rappresentati dall'opera del Fiori che offre agli studiosi un riferimento imprescindibile per approfondire il tema della responsabilità medica, con ampia e aggiornata possibilità di consultazione delle fonti (storiche, dottrinarie, giurisprudenziali, bibliografiche e comprensive anche di una emblematica rassegna di specifiche relazioni medico-legali), sì da consentire il riconoscimento di una subspecialità medico-legale accanto ad altre che da tempo si sono sviluppate e che può motivatamente definirsi Medicina Legale della Responsabilità Medicaàà.[20] Prima che della potestà di curare e del dovere di bene operare (rituali nozioni della dottrina medico-legale ed elementi essenziali della deontologia professionale) bisognerebbe forse far comprendere come sia la stessa natura della attività sanitaria ad esigere ed il ruolo sociale del medico ad imporre comportamenti quali quelli in questa sede delineati e delimitati: anche per evitare che il tenace rifiuto di incombenze burocratiche e inferenze politiche costantemente opposto dalla "classe medica", in questo compatta e convinta, non sia solo l'effetto di una ancestrale difficoltà culturale e tecnica e soprattutto di una povertà etica del medico, cui oggi non sono più consentiti gli atteggiamenti autoritari di un tempo nè le magie e millanterie con cui si sopperiva alla mancanza di capacità e prima ancora di volontà di incontrare e rispettare il paziente (nella storia della medicina quanti micidiali salassi e clisteri sono stati impunemente imposti a pazienti già defedati e disidratati?). Per converso non si può tacere quanto anche il malato contemporaneo sia impreparato al ruolo di paziente responsabile e quindi contribuisca al fallimento del rapporto medico-paziente (o, più esattamente, inibisca i presupposti stessi della comunicazione...): vi è infatti chi, anche autorevolmente, si domanda se in realtà il paziente desideri effettivamente l'informazione o non ambisca solo ad essere tranquillizzato.[21] E, quanto all'essere interrogato adeguatamente con l'anamnesi e indagato compiutamente con la visita, basta riflettere sulle reazioni ostili ad ogni tentativo di seria indagine anamnestico-clinica (in linea con gli insegnamenti dei Maestri della Medicina e della Medicina Legale): fastidio, sospetto, rifiuto e, in caso di osservanza piena delle giuste regole, ricorso a professionisti più corrispondenti alle aspettative con eventuale azione giudiziaria.[22] In questo contesto il consenso del paziente, per quanto lo si evochi con elegante esterofilia informed consent, finisce in realtà con lo scandire l'inizio ufficiale di vari tipi di rischio per il medico autorizzato sà ad agire ma con una "spada di Damocle" appesa ad un filo di fiducia che può essere interrotto in qualsiasi momento e senza alcun preavviso da un "avente diritto"[23] divenuto accusatore animato solo da voglia di "giustizia"... spesso anche civile! A dir poco sui generis risulta in effetti un rapporto tra due parti che imponga ad una il rispetto di regole numerose e complesse, la cultura scientifica e la capacità tecnica, l'obbligazione di mezzi ed anche di risultati, la possibilità di intervenire solo a domanda e all'altra lasci ogni facoltà compresa quella di trasformare il consenso in denuncia, la fiducia in accusa, l'incontro in conflitto dalle allarmanti (sempre e solo per il medico) prospettive per i rischi di danni morali e materiali all'immagine prima che al portafoglio del medico indagato e poi imputato per il capriccio ed il "tradimento" di un paziente cui non certo corre l'obbligo (nè si sente in dovere)[24] di incontrare preventivamente il professionista per discutere con lui o semplicemente partecipargli almeno la revoca di consenso e fiducia e l'inizio delle ostilità! Se si riflette sul profilo reale (e legale) del cittadino, soggetto di molti diritti ma di nessun dovere[25], non si può non riconsiderare il ruolo del medico nell'attuale società per passare da una medicina difensiva ad una più efficace tutela della professione innanzitutto attraverso il riequilibrio del rapporto tra parti che devono cominciare a conoscersi per potersi rispettare prendendo coscienza del significato e dei limiti di un incontro tra persone altrimenti condannate alla supplenza di magistrati e assicuratori o destinate alla "fredda" mediazione telematica e tecnologica. Altrimenti che senso ha parlare di alleanza terapeutica? Gli stereotipi errati della professione medica, la semplicistica conoscenza del corpo umano, la difettosa capacità di comunicare di professionisti e cittadini, la inesistente educazione sanitaria della popolazione sono tra le cause di così macroscopiche incomprensioni e disfunzioni e della conseguente litigiosità e soprattutto della tutela assai parziale dei beni fondamentali della vita e della salute: bene recitava il disatteso articolo della legge 833 del 1978, istituente il servizio sanitario nazionale (la cosiddetta, e per qualcuno famigerata, riforma sanitaria), là dove esplicitamente premetteva che il conseguimento degli obiettivi di una efficace politica sanitaria in Italia sarebbe stato possibile solo nel perseguimento di una coscienza e cooperazione di tutti i cittadini.[26] Il fatto che nell'Università italiana basti, per conseguire diplomi e titoli, di fatto la frequenza ai corsi di laurea (con l'aggiunta di un po' di tempo) e di specializzazione e di dottorato (con tempi rispettati in ogni caso), che sia sufficiente la verifica della presenza e non della perizia rassicura i partecipanti e i loro familiari ma dovrebbe rappresentare motivo di grave allarme per ogni cittadino consapevole del fatto che, in Italia, le pergamene funzionano ancora da lasciapassare per l'esercizio dell'attività libero-professionale come per l'assunzione in strutture sia pubbliche che private. Che senso ha parlare di customer satisfaction?

3. Di fronte ad una realtà così degradata e insidiosa anche all'oftalmologo non resta altro che l'osservanza non stereotipata delle norme deontologiche e giuridiche che gli richiedono perizia, prudenza e diligenza, virtù possibili solo se nella piena coscienza del ruolo e della funzione caratterizzanti la figura del medico specialista, indipendentemente dal suo inquadramento burocratico di libero professionista o di dipendente ospedaliero. Coscienza a sua volta possibile se sostenuta da particolare sensibilità ed adeguata capacità di comunicare prima che di applicare conoscenze scolastiche ed esperienze pratiche al singolo caso clinico. Così si dovrà essere sempre in grado di ricordare che molte volte il paziente tace per dimenticanza o trascuratezza o vergogna le patologie pregresse e che questo silenzio può portare a commettere errori dagli esiti anche letali: un pacemaker o una aritmia non riferiti possono indurre lo specialista a prescrivere betabloccanti per ridurre la pressione oculare con effetti disastrosi per chi è affetto da blocco atrioventricolare ! E non ci si dovrà stancare (quanti errori e danni da "fretta", da distrazione e superficialità, da disinteresse dell'uomo-medico per il proprio simile...) di interrogare insistentemente ed approfonditamente il paziente, di visitarlo interamente e accuratamente, ascoltando il cuore e rilevando la pressione sistemica ed oculare ed eseguendo un completo esame dell'acutezza visiva preceduto dalle opportune indagini sulla rifrazione, non ignorando l'invito rivolto da Frezzotti nel suo manuale di oftalmologia essenziale, che saggiamente (e giustamente, ex iure) segnala la "necessità di preparare specialisti in condizione di raccogliere l'anamnesi e di eseguire la visita indipendentemente dalla attrezzatura tecnologica disponibile" (e dalla capacità di usarla).[27] E non guasterebbe un adeguato "ripasso" dei punti di repere dei focolai di ascoltazione del cuore, che potrebbe rivelarsi determinante per la "scoperta", ad esempio, di una aritmia non comunicata nè dal paziente nè dal collega. Nè sarebbe inutile ricordare che il mancato rilevamento della pressione oculare rappresenta una delle principali scandalose cause di cecità nel mondo ed anche nella parte ritenuta civilizzata (Europa, USA) e saper subito formulare, in presenza di anomala protrusione dei bulbi oculari, la diagnosi differenziale tra disfunzione tiroidea, neoplasia orbitaria e pseudotumor infiammatorio, perchè la gamma delle possibilità diagnostiche che si prospetta all'oftalmologo può essere più o meno ampia ma l'alternativa e il dilemma sottesi possono essere drammatici: una neurite ottica può essere il segno di una sclerosi multipla come di una banale virosi. Ne discende per l'oftalmologo una costante responsabilità medica (tutela della vita e della salute umana) prima e più che specialistica (difesa della essenziale funzione visiva)... Nè ci si può illudere, chiamati a rispondere della propria condotta dal magistrato di turno, di poter invocare a propria scusante l'ignoranza della norma o la ubiquitarietà della malpratica... Nè può bastare la buona coscienza e la parola onesta del medico, pur se suffragato da testimoni leali, a garantire il felice esito dell'iter processuale affidato alla interpretazione di consulenti non sempre affidabili, alla memoria umana che non agisce certo con la fedeltà di una videocamera, alla validità riconosciuta solo alla documentazione cartacea acconciamente predisposta, alla decisione di giudici non dotati di alcuna conoscenza medica e non infrequentemente animati da pregiudizi e suggestioni. Una lezione utile ad una corretta interpretazione del ruolo dell'oftalmologo si potrebbe apprendere già guardando con intelligente attenzione alle basi anatomo-fisiologiche: se si comprende cosa è l'occhio non si può non intendere la reale funzione dello specialista che prende il nome da una struttura oculare la cui funzione investe ambiti assai ampi: retina e nervo ottico sono formati da tessuto nervoso puro, risultando l'occhio solo una appendice assai particolare (agisce come una telecamera !) del sistema nervoso centrale che lancia segnali di malattie sistemiche o di organi diversi e talora topograficamente distanti o che con esami strumentali quali l'iridogramma può consentire l'esatta identificazione della persona umana. E che dire del fondo dell'occhio, finestra aperta sull'albero vascolare che permette all'oftalmologo di diagnosticare da un osservatorio privilegiato importanti patologie rilevabili da altri specialisti solo attraverso la mediazione di mezzi radiologici e contrastografici? Per non parlare del ruolo fondamentale e della grande responsabilità dell'oftalmologo in campo pediatrico dove segni e sintomi oculari esattamente e velocemente evidenziati ed interpretati possono permettere precoci diagnosi ed efficaci terapie di malattie metaboliche congenite e sindromi plurimalformative! Dall'uso del laser a eccimeri ad ogni tipo di chirurgia refrattiva (che non consentono garanzie assolute di risultati e impongono adeguata opera di informazione) alla facoemulsificazione mediante ultrasuoni (tecnica preferibile ed auspicabile nella maggior parte dei casi di cataratta, purtroppo non ancora abbastanza adottata per il persistere di pratiche ormai superate quali la estrazione del cristallino per via extracapsulare, la cosiddetta ECCE, intervento che come la facoemulsificazione espone il paziente al rischio di gravi complicanze settiche endoftalmitiche e panoftalmitiche) e perfino in caso di enucleazione del bulbo oculare (che richiede alla stregua di ogni altro intervento il rispetto assoluto delle norme igieniche degli ambienti e degli operatori) è necessaria una compiuta consapevolezza dei vari aspetti e problemi etici e legali, fisici e psicologi, sociali ed economici. Va detto perciò molto chiaramente che l'oftalmologo, per poter riconoscere le più comuni malattie metaboliche e cardiovascolari come le più rare patologie autoimmuni e neoplastiche, deve essere innanzitutto un medico: è triste dover constatare come tra i deliri che si agitano nell'immaginario collettivo resista ancora la convinzione che il "generico" vale poco e che la "grandezza" sta nella ultraspecializzazione vista come esperienza limitata ad una parte circoscritta del corpo umano, alla faccia della complessa costituzione e dell'intima connessione di organi ed apparati, della criptica inscindibilità di strutture deputate ad attività meccaniche, materiali e misurabili (locomozione, circolazione del sangue, difesa immunitaria) ed anche a funzioni sfuggenti all'analisi scientifica e all'imitazione tecnologica (il pensiero, l'intelligenza emotiva, l'espressione artistica). Non a caso le sentenze di condanna fioccano non per l'imperizia o l'errore in corso di attività di alta specializzazione ma per banali (e disastrose negli effetti) omissioni e negligenze, errori ascrivibili a carenze culturali di base e a generiche prestazioni, a maggior ragione se attribuibili ad esperti (o presunti tali) specialisti. Tanto che l'Introna delinea due eventualità estreme: "...A) se la prestazione è molto semplice e ne segue danno l'errore è assolutamente inescusabile (colpa); B) se la prestazione è di elevatissima difficoltà e ne segue danno l'errore può essere scusabile (non colpa; sempre che l'errore non sia da negligenza o da imprudenza)..."[28] Il "politicamente corretto" cui sempre più siamo invitati a improntare il nostro linguaggio non deve impedirci la riflessione sul facile attacco a Maestri e Medici disarmati, sottomessi a vincoli, sottoposti a controlli, esposti a trabocchetti e tradimenti da parte di allievi e pazienti sempre più attrezzati e accaniti, pronti a sferrare i colpi più bassi e a inscenare pantomime vittimistiche mosse non tanto dal desiderio di accrescimento culturale o di risanamento personale ma dalla cosiddetta sindrome da appetizione di benefici socio-economici (diretti, in forma di indennizzo per presunti danni derivanti da attività sanitaria, o mediati, per la potenziale lucrosità di titoli e diplomi accademici) ! Forse non era questa la scuola "aperta a tutti" cui si riferiva il Costituente nell'art. 34,[29] non certo un luogo senza ordine e qualità, dove chiunque può entrare e pretendere, disturbare e offendere... Forse sarebbe cosa buona e giusta oltre che civile e salutare puntare per il futuro alla qualità piuttosto che alla pletora di avvocati (8.000 in Francia, 100.000 in Italia) come di oculisti (800 in Gran Bretagna, 6.000 in Italia): il minore contenzioso sarebbe "compensato" da una migliore qualità delle professioni ma soprattutto della vita... La strada non pare certo quella dell'attentato sistematico alla autorevolezza dei Maestri e al prestigio delle Scuole, strategia perseguita da chi tenta di occultare la propria inemendabile carenza di curiosità scientifica e di comunicativa sociale, fattori essenziali per la formazione di una adeguata cultura medica e l'esercizio di una soddisfacente professione sanitaria... Nè al rischio di estinzione dei grandi Maestri e dei bravi Professionisti potranno porre rimedio Periti e Magistrati, i cui livelli attuali sono ben descritti nel più recente ed autorevole trattato italiano di medicina legale.[30] E va denunciata la insufficienza e illusorietà di "protocolli diagnostici e terapeutici" (pericolosi per la incolumità dei malati e la sicurezza dei medici) e delle sempre più invocate "guide lines" (che divengono leggi dello Stato là dove, come accade, sono considerate in maniera rigida per motivare decisione giudiziarie) o dei cosiddetti "criteri" per valutazioni medico-legali in soccorso di estimatori sprovvisti di cultura adeguata (alla ricerca di strumenti di facile e pronto impiego). Il disastroso malcostume insinuatosi nelle più prestigiose istituzioni deriva, oltre che dal generale degrado sociale, dalla tendenza (legislativa, ministeriale, sindacale) a incentivare regole e procedure apparentemente ispirate da elevati sentimenti etici e improntate a disciplinare condotte e rapporti, in concreto produttive di incrementi solo quantitativi con inesorabile impoverimento di ogni senso di identità e responsabilità, nel trionfo di una burocrazia che nulla ha a che vedere con i compiti di formazione e selezione conferiti alle università, a maggior ragione se autonome.[31] Vi è poi l'effetto, non secondario perchè a sua volta innesco di ulteriore deterioramento di quel rispetto che è alla base di ogni rapporto, della inversione dei ruoli derivante sia dalle incursioni e aggressioni di cittadini, istituzioni e mass media alla professione medica sia dalle molteplici opzioni estimative offerte ai discenti abilitati a dettagliate definizioni di idoneità e capacità dei docenti, pur essendo notorio che una difettosa (o non gradita) ricezione di un messaggio non necessariamente è ascrivibile alle doti di chi trasmette o alla qualità della comunicazione, certo non valutabile in termini di quantità di consenso. Riprendendo il titolo "Aspettarsi l'inaspettabile" con cui Bill Gates apre un capitolo di una sua recentissima monografia, ispirata dalla convinzione che a ogni cambiamento corrisponde una opportunità, appare fondata l'ipotesi che proprio la temuta rivoluzione digitale possa far ritrovare la via per il primato della mente umana e per la obiettiva valutazione di capacità e meriti: dai freddi e disumani sistemi informatici tornerà all'uomo la certezza del valore delle cose e delle persone, là dove queste non sembrano oggi più attrezzate e interessate alla equa attribuzione di competenze e responsabilità? Basta sfogliare l'indice per animarsi di speranza leggendo titoli come "Gestire con la forza dei fatti" (Individuare una metodologia oggettiva, basata sui fatti), "Creare un ufficio senza carta" (Invogliare a nuovi stili di vita), "Sviluppare processi che responsabilizzino le persone" (Mettere le persone nelle condizioni di fare la differenza), "Nessun sistema sanitario è un'isola" (Il Web ci rende responsabili della nostra salute), "Creare comunità didattiche virtuali" (In collegamento con i genitori e con l'intera comunità), "Creare processi digitali basati sugli standard" (I problemi dei sistemi informatici nell'anno 2000: un esempio di miopia applicata al software).[32] Ma non c'è da sorprendersi perchè anche l'informatica è figlia dell'uomo e della sua mente, ultimo atto di una lenta ma inesorabilmente progressiva evoluzione biologica, che nel felice connubio tra occhio e cervello umano ha raggiunto il misterioso risultato della consapevolezza del sè, della coscienza e della conoscenza: nell'occhio si proiettano infatti le immagini del mondo che divengono il "quid pluris" per la formazione e l'accensione del motore della comprensione. Il "cogito ergo sum" può ben completarsi nella riflessione sulla stretta correlazione tra visione e pensiero, su quanto il nostro modo di pensare dipenda dal modo di vedere ciò che ci circonda.[33] Ancora una volta è quindi dalla biologia che va tratto l'insegnamento che solo nella qualità sta la possibilità di riscatto e rivincita dell'uomo sulla fragilità e brevità della materia evolutasi in neurone e in cervello, eredi di forme di vita assai più antiche e longeve, una volta mastodontiche e statiche, oggi espressioni leggere ed effimere, mobili e veloci grazie al pensiero, polline vagante nelle profondità dell'universo...

RIASSUNTO

L'analisi medico-legale della responsabilità professionale in ambito oftalmologico consente di riesaminare criticamente il reale stato dei rapporti tra medici e pazienti: emerge l'esigenza, anche sotto il profilo giuridico e giurisprudenziale, di doti innanzitutto umane e di capacità soprattutto mediche più che di eccezionali abilità chirurgiche e tecnologiche. Non a caso le sentenze di condanna fioccano non per l'imperizia o l'errore in corso di attività di alta specializzazione ma per banali (e disastrose negli effetti) omissioni e negligenze, errori ascrivibili a carenze culturali di base e a generiche prestazioni, a maggior ragione se attribuibili ad esperti (o presunti tali) specialisti. Di fronte ad una realtà così degradata e insidiosa anche all'oftalmologo non resta altro che l'osservanza non stereotipata delle norme deontologiche e giuridiche che gli richiedono perizia, prudenza e diligenza, virtù possibili solo se nella piena coscienza del ruolo e della funzione caratterizzanti la figura del medico specialista, indipendentemente dal suo inquadramento burocratico di libero professionista o di dipendente ospedaliero.

SUMMARY

The medico-legal analysis of the professional liability in ophthalmology allows us to re-examine critically the actual state of the doctor-patient relationship. From this legal consideration, it emerges that human qualities and basic medical knowledge outweigh exceptional surgical and technological skills. Numerous convictions are not due to inexperience or error in the course of highly specialist activity but to trivial (though with disastrous consequences) omissions and cases of negligence caused by poor basic medical culture as well as inaccurate ordinary services, all the more blameful if ascribable to "expert specialists". In front of this disappointing reality, the ophthalmologist, too, has to conscientiously respect the deontological and legal regulations, which demand expertise, prudence and diligence. Regardless of his bureaucratic position as an independent professional or a hospital-dependent doctor, the specialist can only satisfy these requirements if fully conscious of his very particular role and function.


  • [1] Sull'uso del calcolo delle probabilità per la valutazione e la previsione degli avvenimenti che interessano e influenzano l'uomo si segnala lo studio del matematico Didier Dacunha-Castelle (Dacunha-Castelle D.: La scienza del caso. Previsioni e probabilità nella società contemporanea, Dedalo, Bari 1998, dal titolo originale: Chemins de l'aleatoire. Le hasard et le risque dans la sociètè moderne): "...Tutti sono d'accordo: è necessario imparare a dubitare, a riconoscere l'incertezza, a sapere che fa parte integrante dell'esercizio della cittadinanza e che non può fungere da alibi per la passività. La legge concorda in qualche modo in campo giudiziario. Così, in campo giuridico, come in medicina, le decisioni devono essere prese anche se permane una considerevole incertezza. Il diritto anglosassone stipula che una sentenza deve andare oltre "il ragionevole dubbio", il codice civile deve riflettere "l'intima convinzione" dei giudici ! Un'indagine dimostra che per un terzo degli individui il ragionevole dubbio corrisponde ad una probabilità inferiore al 10% per l'innocenza mentre altri arrivano fino al 30%. E questo non influenza la severità delle persone interrogate nel caso avessero dovuto giudicare..." (Robert C.: Modèles statistiques pour l'intelligence artificielle, Masson, Parigi 1991).
  • [2] Barni M.: Diritti-doveri . Responsabilità del medico. Dalla bioetica al biodiritto, Giuffrè, Milano 1999.
  • [3] Sulla crisi dell'Accademia più che mai attuali le parole di un grande della medicina legale italiana: "... disastrose leggi che hanno messo in crisi le Facoltà mediche (degrado tumultuoso degli istituti, delle discipline e dei docenti, con scomparsa progressiva del rapporto maestro-discepolo)... In sostanza gli idoli, o quanto meno le strutture da gran tempo consolidate, sono distrutti... E' stato giustamente osservato che una esigenza primaria va rispettata ed è quella di ricomporre in qualche modo l'unità della Medicina, ormai frammentata in un gran numero di specializzazioni sempre più ristrette, nella unità dell'individuo... L'ingegneria genetica e l'informatica stanno rivoluzionando il pianeta medico, che dovrà modificare radicalmente la sua mentalità di approccio al malato. E' del tutto verosimile che fra non molti anni il medico non sarà più il medico, così come è stato per tanti secoli. Il crollo della professione medica sembra anticipare questa rivoluzione culturale, che non è priva di ombre funeste..." (Franchini A.: Medicina legale, CEDAM, Padova 1985, pagg. 29-33).
  • [4] Sul tema della prova nel processo penale si veda Bielli D.: Prova per esperti, Centro Stampa dell'Università, Siena 1984. Sulle novità in merito: Cimadomo D., Dalia A. A., Daraio G., Ferraioli M., Mastrogiovanni M.: Le innovazioni in tela di formazione della prova nel processo penale (Commento alla Legge 7 agosto 1997, n. 267), Giuffrè, Milano 1998.
  • [5] Sull'importanza ed il valore legale della cartella clinica si veda: Palmieri L., Mucci A. M., La cartella clinica. Aspetti medico-legali e responsabilità professionali, Liviana, Padova 1990.
  • [6] Per tutti si veda Introna F.: L'epidemiologia del contenzioso per responsabilità medica in Italia ed all'estero, Rivista Italiana di Medicina Legale, 1, 71, 1996. Su iniziativa della Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni (SIMLA) è stato costituito il Gruppo Interdisciplinare per lo Studio della "malpractice" medica con l'apporto delle Società Scientifiche interessate alla diffusione della cultura medico-legale nei diversi settori applicativi ed alla istituzione di centri regionali di riferimento per le singole discipline. Al Gruppo aderiscono le seguenti Società Scientifiche:
    • Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva;
    • Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia;
    • Società Italiana di Ostetricia e Ginecologia;
    • Società Italiana di Oncologia Radioterapica;
    • Società Italiana di Chirurgia Plastica;
    • Società Italiana di Chirurgia;
    • Società Italiana di Neurochirurgia.
    Il Gruppo si prefigge la istituzione di un osservatorio nazionale della "malpractice medica". Gli interessati possono inviare una richiesta di adesione al Presidente della SIMLA Prof. Luigi Palmieri a mezzo fax al numero 081/5513794.
  • [7] A tal proposito valga l'ammonimento del Barni: "non è sufficiente al medico d'oggi conoscere, fare ed essere, imparando e praticando unicamente i segreti dell'arte, occorrendogli inoltre e compiutamente di saper conoscere, saper fare, saper essere. Sono questi gli inscindibili caratteri di una professionalità ottimale, capace di coniugare, in maniera sostanziale, superiore abilità tecnica ad elevatezza culturale e morale. Ed essi non possono derivare se non da una formazione mirata a garantire un patrimonio attitudinario non esclusivamente tecnologico, ma compiutamente professionale una volta che si accetti il carattere non meramente utilitaristico della ideale fisionomia del medico, contestualmente scientifica ed umanistica. È ormai da tutti accolto il principio, secondo il quale la preparazione e la formazione tecnico-scientifica si definiscono, fin dal monito di Norimberga e delle successive riflessioni sopranazionali, alla stregua di garanzie necessarie ma non sufficienti, nei presupposti e tanto meno nella prassi, per la realizzazione di un ottimale 'prodotto' professionale" (loc. cit., sub 2).
  • [8] Riguardo alle reali cause di rivalsa da parte di pazienti o di parenti si veda di Benciolini P.: Le lamentele dei pazienti: quale responsabilità dei medici ?, Bollettino dell'Ordine dei Medici di Padova n° 2 del 1993. In particolare lì dove si nota: "...un fenomeno forse inatteso: ciò che la gente lamenta non è tanto la gravità del danno quanto la scorrettezza dei comportamenti dei medici. Vi sono casi, anche clamorosi, di responsabilità professionale per imperizia in ordine al decesso di pazienti che non giungono all'attenzione dei giudici ed il motivo va ricercato nella particolare sollecitudine manifestata dai medici curanti, nella loro capacità di mantenere un buon rapporto con il paziente e i suoi congiunti. Vi sono, per contro, casi nei quali la morte del paziente è addirittura causalmente estranea all'operato dei medici e l'operato stesso è indenne da censure sotto il profilo tecnico; la denuncia all'autorità giudiziaria scatta però ugualmente e trae origine da carenze di attenzione, di premure, di manifestazioni di impegno. Come si vede, dunque, la sensibilità della gente è più portata a considerare il comportamento che non l'effettiva dipendenza causale dallo stesso evento dannoso..." Sulla "effettiva dipendenza causale" si veda di Barni M.: Il rapporto di causalità materiale in medicina legale, Giuffrè, Milano 1991.
  • [9] Emblematica la "...ricerca fondata sul nulla..." segnalata con lettera di Loré e risposta di Introna (Rivista Italiana di Medicina Legale, 3, 703, 1985).
  • [10] Le cause del degrado sono identificate e descritte nel 1985 dal Franchini (loc. cit., sub 3) e nel 1996 dall'Introna (loc. cit., sub 6). In particolare il Franchini: "...per la formazione di un medico degno di questo nome la grottesca formalità dell'esame di Stato, che non è preceduto da un serio tirocinio pratico presso strutture sanitarie pubbliche dopo il conseguimento del titolo puramente accademico, non rappresenta un valido setaccio per distinguere chi è idoneo ad affrontare la grande responsabilità della professione del medico..." (loc. cit., sub 3, pagg. 38-39).
  • [11] Sull'aumento delle accuse contro i medici si vada all'ampio monitoraggio del fenomeno condotto nel citato studio di Introna F.: loc. cit., sub 6.
  • [12] Valga per tutti il monito rivolto dal Franchini (loc. cit., sub 3, pagg. 16-47), in particolare quando denuncia che "...il crollo del medico è stato davvero enorme, rovinoso, spietato, e tale da fare riconoscere in lui il grande sinistrato dei nostri tempi. Eppure la Medicina mezzo secolo fa balbettava impotente di fronte a molti problemi della patologia che oggi sono definitivamente e felicemente risolti... Vi è quindi una singolare dissociazione fra la Medicina quale scienza e la Medicina quale professione; quest'ultima si trova davvero in una crisi che la mette in una grave situazione di disagio, le cui conseguenze non è facile valutare appieno, ma che non possono essere funeste per l'intero Paese... In primo luogo chiediamoci se le cause che hanno portato alla crisi della professione medica siano cause economiche o di soprannumero, cause morali, cause di insufficiente preparazione tecnico-culturale, ovvero cause legate ad una situazione di assestamento di fronte a nuove esigenze, che in passato non esistevano e che riconosciamo nella positiva affermazione della cosiddetta socializzazione della Medicina..." (pag. 27); e quando afferma: "...L'iscrizione alla facoltà medica deve essere severamente regolata dalla serietà della Scuola media superiore e l'accesso non deve essere lasciato libero a cani e porci. Una recente inchiesta ha indicato che la maggior parte dei giovani che si iscrivono alla facoltà medica hanno una carica umana verso il malato, carica che hanno poi definitivamente perduta al momento della laurea in Medicina. Questa è la squallida efficacia di un insegnamento sostanzialmente negativo..." (pagg. 30-31).
  • [13] Sul consenso informato si veda Santosuosso A.: Il consenso informato, Raffaello Cortina, Milano 1996, Canavacci L.: I confini del consenso. Un'indagine sui limiti e l'efficacia del consenso informato, Edizioni Medico Scientifiche, Torino 1999.
  • [14] "...Nel 1955 Franchini scriveva: ...assai di frequente sui giornali troviamo gravi, per quanto fallaci ed inopportuni, riferimenti agli obblighi del medico, vero cireneo della vita sociale moderna..." (Introna F.: loc. cit., sub 6, pag. 83).
  • [15] Da segnalare la recente "nota" del Fiori: "...Circa il problema della libertà del paziente di curarsi o meno, e di scegliere il tipo di cura, merita citazione il recente parere del penalista Ferrando Mantovani (Libertà di cura e responsabilità del medico, Toscana Medica 16.9.1998) il quale, commentando il cosiddetto "caso Di Bella", afferma che il paziente non ha il dovere giuridico di curarsi e quindi ha la libertà di curarsi, trascurarsi e non curarsi e quindi di scelta tra possibili tipi di terapia alternativa o tra terapie collaudate o terapie sperate o pseudoterapie: quando però egli sia per così dire 'medico' e 'farmacista' di se stesso, provvedendo cioè all'autotrattamento manu propriaè. Ma quando egli si rivolge ad un medico, il problema della libertà di cura cambia radicalmente in quanto l'attività del medico e la sua conseguente liceità sono subordinate all'osservanza di due fondamentali principi: non solo del consenso-rifiuto informato del paziente, ma anche della salvaguardia della vita, salute e dignità del paziente medesimo da parte del medico..." (Fiori A.: Per un riequilibrio tra dovere di globale beneficialità nella prassi medica ed esigenze del diritto in tema di consenso informato, Rivista Italiana di Medicina Legale, 6, 1157, 1998). Sul fatto che anche in giurisprudenza da tempo sia affermata la libertà perfino del "consulente di parte" basta rifarsi alla sentenza della Corte di Appello di Milano del 27 marzo 1981 (Pres. Alessi-Rel. Napoli-Camozzi c. Marrubini) dove si dice che "...lo stesso (consulente) non è tenuto a seguire supinamente le istruzioni ed i comportamenti concordati con il cliente..."
  • [16] Denuncia Introna: "...notizie del genere sono diventate autentici scoop giornalistici con divulgazione dei nomi dei medici ben prima che siano accertate dalla magistratura le reali responsabilità. I nomi di questo o quel medico vengono resi noti come se fossero già stati condannati e quando, dopo anni, sopravviene un'eventuale assoluzione non compaiono rettifiche (Introna F.: loc. cit., sub 6, pag. 83). Tale malcostume, che contraddistingue "di norma" l'attività giornalistica, non può apparire meno censurabile della malpractice medica, anche se, almeno nella fase istruttoria del processo penale, risulta arginato dalle nuove norme che vietano la identificazione degli indagati. Sull'argomento si veda anche Benvenuti B.: Il ruolo dei mass media in Italia, Difesa Sociale, 1, 45, 1995.
  • [17] Su aspetti e problemi bioetici, storici, antropologici, sociologici, psicologici, clinici connessi al rapporto medico-paziente si veda Spinsanti S.: Curare e prendersi cura, CIDAS, Roma 1998, Petrillo G.: Psicologia sociale della salute, Liguori, Napoli 1996, Good B. J.: Narrare la malattia. Lo sguardo antropologico al rapporto medico-paziente, Edizioni di Comunità, Torino 1999, Gay M.: La relazione analitica, RED, Como 1998, Tatarelli R., De Pisa E., Girardi P.: Curare con il paziente. Metodologia del rapporto medico-paziente, Franco Angeli, Milano 1998, Gulotta G., Zettin M.: Psicologia giuridica e responsabilità, Giuffrè, Milano 1999.
  • [18] loc. cit., sub 3, pag. 22: "...mi chiedo come si troverà conciato questo cascame di medico nei confronti del rigore del Codice penale e delle altre leggi dello Stato...".
  • [19] loc. cit., sub 2.
  • [20] Fiori A.: Medicina Legale della Responsabilità Medica, Giuffrè, Milano 1999.
  • [21] Fiori A.: loc. cit., sub 15, pag. 1149: "...Il nodo del problema è individuabile nell'analisi di Karl Jaspers, noto filosofo, medico e psicologo che in una sua rilevante monografia (Jaspers K.: Il medico nell'età tecnica, Cortina, Milano 1991) fa notare che l'ideale del rapporto tra medico e paziente è "la relazione fra due persone razionali in cui l'esperto tecnico viene in aiuto del malato". Questo ideale presuppone che tanto il medico quanto il malato vivano in condizioni di maturità razionale e umana: ma la realtà è ben diversa. Per molti malati il presupposto della ragione non vale: essi vogliono essere curati a tutti i costi e per qualunque disturbo, con conseguenti richieste che talora non possono essere soddisfatte dal medico e che stimolano quindi lo sviluppo di cure in realtà poco efficaci. "A questo si aggiunge -continua Jaspers- che il malato non vuole veramente sapere ma ubbidire. L'autorità del medico è un gradito punto fermo che lo dispensa dalle riflessioni e dalle responsabilità proprie. Quando le cose si fanno serie, quando la vita appare minacciata o, sulla base di quanto è umanamente prevedibile, già pregiudicata, il malato non vuole affatto sapere. Se dice il contrario è perchè desidera essere tranquillizzato e non la verità. Poichè spesso l'uomo, da malato, non è razionale ma irrazionale ed antirazionale, la relazione medica deve necessariamente trasformarsi". Questa elementare considerazione, nota in realtà a tutti i medici che svolgono pratica clinica, è un dato di fatto incontestabile, che non può essere accantonato sbrigativamente, come sta avvenendo a seguito delle posizioni sempre più radicali assunte dalla dottrina giuridica e dalla giurisprudenza, ma anche da parte della dottrina medico-legale. Non è dunque ammissibile continuare in questo clima di ipocrisia, ingiusto ed altamente dannoso per tutti..."
  • [22] Albert D. M., Jakobiec F. A.: Principi e Pratica di Oftalmologia, Verduci, Roma 1996, pag. 4076: "...Molti pazienti non sono capaci o non vogliono verbalizzare le loro principali preoccupazioni direttamente al medico. I loro problemi possono essere imbarazzanti, dolorosi, frustranti o minacciosi o addirittura essere ancora relegati nel subconscio. All'inizio il paziente può descrivere solamente i sintomi minori per mettere alla prova il medico; le principali preoccupazioni possono non venire espresse fino a quando non si è stabilito un buon rapporto. Per cominciare ad instaurare questo rapporto è importante usare dapprima domande che non presuppongano una risposta si/no e mostrare di immedesimarsi nei sentimenti del paziente..."
  • [23] Riz R.: Il consenso dell'avente diritto, CEDAM, Padova 1979.
  • [24] Nell'opera citata Dachuna-Castelle si riferisce alla semplice "passività" del cittadino in realtà ostile ad ogni esponente o rappresentante dello Stato, delle istituzioni, degli enti come delle professioni, a ben guardare non solo sprovvisto di deontologia ma nel rapporto con il medico "avente diritto" ad una condizione di assoluta irresponsabilità legittimato ad ogni tipo di diffamazione e calunnia ed autorizzato ad adire le vie legali in qualsiasi momento e senza alcun fondato motivo (loc. cit., sub 1).
  • [25] loc. cit., sub 23.
  • [26] Art. 2: "Il conseguimento delle finalità di cui al precedente articolo è assicurato mediante: 1) la formazione di una moderna coscienza sanitaria sulla base di un'adeguata educazione sanitaria del cittadino e delle comunità..."
  • [27] Si veda in Frezzotti R., Guerra R.: Oftalmologia essenziale, Ambrosiana, Milano 1982, a pag. 14: "...il problema se insegnare soprattutto una metodologia applicabile anche con attrezzature comuni o una metodologia che privilegia fortemente le tecniche strumentali avanzate, delle quali solo particolarissimi ambienti sono dotati, è problema che non può essere risolto con disinvoltura a favore della seconda ipotesi, nemmeno sul piano concettuale... E' necessaria per una raccolta anamnestica una capacità maieutica..." e a pag. 25: "...Gli esami funzionali in oftalmologia sono molteplici e nella maggior parte sono di fondamentale importanza. Molti di essi si fondano su risposte soggettive e richiedono quindi ampia collaborazione del paziente... In assenza (ed in presenza) di patologia dell'apparato visivo, l'acutezza visiva è comunque condizionata dalla esistenza di errori rifrattivi: la sua misurazione quindi deve necessariamente essere preceduta dall'esame della rifrazione con i metodi obbiettivi e soggettivi e quindi dalla più precisa correzione della ametropia. Si potrà rilevare così il visus naturale o non corretto, di interesse prevalentemente medico-legale, e soprattutto il visus con correzione, di più vasto interesse..."
  • [28] loc. cit., sub 6, pagg. 96-97.
  • [29] Art. 34 della Costituzione della Repubblica italiana: "La scuola è aperta a tutti...."
  • [30] Emblematico il richiamo che Giusto Giusti rivolge nell'introduzione al trattato di medicina legale e scienze affini (Giusti G.: Trattato di medicina legale e scienze affini, CEDAM, Padova 1998, pagg. 1-17): "...Vi è tuttavia il pericolo che tali persone siano invitate dal giudice a svolgere compiti peritali che sono estranei al loro lavoro quotidiano e alla loro preparazione, così come del resto vi è la possibilità che compiti peritali siano affidati a persone del tutto incompetenti: tali pericoli e possibilità sono da evitare se l'invito a svolgere compiti peritali proviene dall'Autorità giudiziaria, specie penale. Si ripropone però ancora il lamento di tutti coloro che hanno affrontato lo spinoso problema della (in)competenza dei periti..."; e ancora: "...Nelle facoltà giuridiche l'insegnamento della medicina legale è facoltativo, così come lo è l'insegnamento dell'antropologia criminale, o di altra materia con nome diverso ma con lo stesso contenuto..." Ed infine la riflessione sul tema della psicologia del perito, elemento essenziale per il buon (leggi corretto) esito di una indagine che rimane di natura squisitamente scientifica: "...L'atteggiamento psicologico del medico-legale, davanti ad un caso nuovo o poco noto, risulta assai variabile. Il medico-legale che sia tale per ripiego, o che non sia stato addestrato a sufficienza nella pratica autoptica, desidera (anzi, prega !) che il caso da indagare non presenti alcunchè di importante o che comporti la soluzione di problemi tecnici complessi: nella sua casistica le morti naturali sono molto numerose, i suicidi invece risultano scarsi, gli omicidi quasi inesistenti, i venefici totalmente assenti. Le questioni attinenti alla responsabilità professionale del medico sono accuratamente evitate... Chi fa questo mestiere per scelta e non per caso avverte sensazioni difficilmente comunicabili: quella gradevole trepidazione che precede e accompagna ogni autopsia, dal più scontato riscontro alla più spinosa autopsia giudiziaria; quella voglia di guardar dentro, di descrivere, di capire; il piacere di una dissezione corretta, con cui poco a poco riconosci sul tuo morto l'anatomia studiata sui libri e riesci a discriminare il normale, con la sua vastissima gamma di variabilità, dal patologico..." Ed a proposito del rischio di estinzione dei grandi Maestri ancor più oggi valgono (e dolgono...) le parole del Franchini: "...La figura del maestro della Medicina sta scomparendo, lasciando la piazza ad una folla di insegnanti, che si occupano frettolosamente di settori sempre più minuscoli dello scibile medico, in una orgiastica celebrazione dell'infinatemente piccolo, sino alla molecola..." (loc. cit., sub 3, pag. 37).
  • [31] Art. 33 della Costituzione della Repubblica italiana: "L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento... Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato."
  • [32] Gates B.: Business @lla velocità del pensiero. Avere successo nell'era digitale, Mondadori, Milano 1999.
  • [33] Sul tema dei rapporti tra visione e pensiero si veda la prima edizione italiana di "Eye and Brian" di Gregory R. L.: Occhio e cervello. La psicologia del vedere, Raffaello Cortina, Milano 1998.