Università degli Studi di Siena

Università degli Studi di Siena

Dipartimento di Scienze Medico-Legali e Socio-Sanitarie
  • Medicina legale
  • Prof. Cosimo Loré

La valutazione relativa alla incapacità processuale dell'imputato per infermità di mente

Cosimo Loré, Paolo Moscarini(*)

SOMMARIO

  1. Normale coincidenza della capacità processuale dell'imputato con la capacità di essere parte.
  2. L'infermità di mente dell'imputato sopravvenuta come ipotesi di eccezione alla suddetta coincidenza: a) i precedenti storici.
  3. Segue: b) il nuovo criterio della incapacità di partecipare coscientemente al processo per infermità mentale sopravvenuta al fatto (art. 70 c.p.p. 1988).
  4. La rilevanza anche della infermità mentale sussistente al momento del fatto e perdurante in quello del processo a seguito della sentenza costituzionale 20 luglio 1992, n. 340.
  5. La necessità di una consapevole autodifesa come criterio ispiratore delle varie fattispecie d'incapacità processuale dell'imputato per infermità di mente, con conseguente esigenza di adottare nuovi criteri clinici di valutazione.

  1. Uno dei principi di diritto pubblico comunemente affermati è quello della normale coincidenza tra la capacità giuridica del soggetto e la sua capacità di agire.[1] Tale canone viene spiegato col fatto che, risultando le situazioni giuridiche di diritto pubblico preordinate ai fini dell'organizzazione politica, amministrativa o processuale, sarebbe vano riconoscerle a chi non potesse validamente avvalersene; si aggiunge che il carattere strettamente personale il quale distingue, di norma, i rapporti di diritto pubblico comporta che le relative capacità vengano attribuite solo a chi può direttamente esercitarle.[2]

    Questo canone trova una significativa proiezione nell'ambito del procedimento penale: la capacità ad agirvi coincide, di norma, con la capacità di esservi sottoposto; "colui che è capace ad assumere la veste di imputato" - si afferma è "capace ad esperire tutte le attività connesse a tale posizione".[3]

    Nel contesto di un processo sostanzialmente inquisitorio, quale quello configurato dal c.p.p. 1930, l'attribuzione della capacità di agire a soggetti immaturi o infermi di mente veniva spiegata con la considerazione per cui, vertendo il processo penale su di un conflitto fra diritti indisponibili per eccellenza, come il diritto punitivo dello Stato e il diritto alla libertà dell'individuo, si esigeva che le relative decisioni venissero fondate sull'accertamento della c.d. "verità materiale", o, meglio, sulla ricostruzione veritiera del fatto, e si risolvessero nella fedele e inderogabile "attuazione" della legge penale.[4]

    Era per il più sicuro perseguimento di tali finalità che si doveva ritenere preordinata la partecipazione al processo dell'imputato, nel triplice ruolo di oggetto di indagine da parte del giudice, di mezzo di prova e di difensore di se stesso: oggetto di indagine quanto al profilo della personalità, nonchè per tutti gli altri elementi di carattere personale richiamati dall'art. 133 c.p.; mezzo di prova non solo con riferimento ad eventuali atti di ricognizione e confronto, ma anche in relazione alle sue possibili dichiarazioni; difensore di se stesso per la possibilità, attraverso la partecipazione al procedimento, di prospettare tutte le argomentazioni ed addurre tutte le prove per la tutela del proprio diritto di libertà.[5]

    Insomma, le esigenze connesse alla natura eminentemente pubblicistica del giudizio penale avevano portato ad organizzare il processo secondo uno schema nel quale la diretta partecipazione di un imputato che pure si trovasse in condizioni di incompleta maturità o di diminuita capacità di intendere o di volere non avrebbe costituito elemento di per sà pregiudizievole per gli interessi di cui il soggetto medesimo era portatore; e ciò anche in quanto i larghissimi poteri conferiti al giudice, almeno in sede teorica, avrebbero fornito all'imputato la maggiore delle garanzie contro le eventuali lacune della propria difesa.[6]

  2. Ciò non toglie che il medesimo c.p.p. 1930 prevedesse alcune rilevanti eccezioni alla coincidenza capacità di essere imputato = capacità di agire in tale veste.

    Sembra opportuno, a tale proposito, ricordare preliminarmente che, già secondo il c.p.p. 1913 (art. 471), la impossibilità dell'imputato, per infermità di mente, di provvedere alla propria difesa era causa di sospensione o rinvio del dibattimento; ma trattavasi di disposizione isolata, riferita ad una fase particolare del procedimento, inidonea, quindi, nella sua episodicità, a costituire una regolamentazione organica del fenomeno.

    Ben più cospicue erano, al riguardo, le deroghe introdotte dal c.p.p. 1930; tra le quali,[7] senz'altro la più significativa era quella risultante dalle disposizioni dell'art. 88.

    Secondo quest'ultimo, quando l'imputato fosse venuto a trovarsi in tale stato di infermità da escludere la capacità di intendere o di volere, il giudice, se non avesse dovuto pronunciare sentenza di proscioglimento, sarebbe stato tenuto a disporre con ordinanza, in ogni stato e grado del procedimento di merito, la sospensione di quest'ultimo. In tale ipotesi, sarebbe stato necessario ordinare, ove occorresse, il ricovero dell'imputato in un manicomio pubblico, preferibilmente giudiziario. Per gli accertamenti del caso, il giudice avrebbe potuto far luogo a perizia (comma 1).

    Risultata, poi, la condizione d'infermità mentale prima che il giudice istruttore fosse stato investito dell'azione penale, tale magistrato avrebbe provveduto su richiesta del pubblico ministero. Il pretore avrebbe disposto d'ufficio, informandone il procuratore del Re, in seguito della Repubblica (comma 2). Qualora, poi, l'imputato avesse riacquistato la sua capacità, il giudice sarebbe stato tenuto ad ordinare che il procedimento riprendesse il suo corso (comma 3). La sospensione del procedimento non avrebbe impedito al giudice di compiere gli atti necessari per l'accertamento del reato (comma 4). Ulteriori disposizioni (commi 5 e 6) riguardavano la posizione della parte civile e quella degli altri, eventuali, coimputati.

    Dunque, quanto al presupposto naturalistico, la disposizione dell'art. 88 comma 1 c.p.p. 1930 non differiva da quella dell'art. 88 c.p., che, come noto, esclude l'imputabilità di chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in stato di mente tale da escludere la capacità di intendere o di volere; la capacità processuale, insomma, andava stabilita alla stregua dei criteri elaborati dalla dottrina penalistica in tema di vizio totale di mente.[8]

    D'altra parte, le situazioni rispettivamente contemplate dagli artt. 88 c.p. e 88 comma 1 c.p.p. 1930 differivano profondamente tra loro quanto al momento cui esse dovevano venir correlate: la prima si riferiva al tempus commissi delicti, la seconda alla posizione dell'imputato in sede processuale.[9]

    V'era dibattito, però, circa l'applicabilità della seconda disposizione, oltre che al caso della infermità mentale intervenuta successivamente al fatto, anche in quello in cui essa fosse risalita al tempo della commissione e perdurata al momento del processo.

    Al riguardo, si fronteggiavano diverse tesi.

    Secondo quella più restrittiva, nella fattispecie nessun problema sarebbe sorto, perchè la non imputabilità originaria avrebbe comportato, in ogni caso, il proscioglimento dell'imputato in applicazione dell'art. 88 c.p., risultando conseguentemente superfluo il ricorso all'art. 88 c.p.p. 1930.[10]

    Per altro orientamento si sarebbe dovuta pronunciare sentenza di proscioglimento nel caso in cui la mancanza di imputabilità fosse emersa chiaramente nonostante il persistere della infermità mentale dell'imputato, mentre, nell'ipotesi di non sufficiente evidenza della mancanza di imputabilità, sarebbe stato necessario far luogo alla sospensione del processo.[11]

    Un terzo indirizzo sosteneva che l'art. 88 c.p.p. 1930, sebbene espressamente diretto a regolamentare solo il caso della infermità mentale sopravvenuta, era chiamato a disciplinare anche, per l'evidente identità delle due situazioni, l'ipotesi dell'infermità mentale sussistente al momento del reato e perdurante nel corso del processo.[12] Veniva aggiunto in tal senso che il proscioglimento per non imputabilità presuppone l'avvenuto accertamento della sussistenza del fatto, della sua commissione da parte dell'imputato e dell'assenza di qualsiasi causa di giustificazione[13], onde, anche in relazione al procedimento avente come possibile esito tale pronuncia, doveva essere assicurata la facoltà di previa autodifesa dell'imputato, ai fini di eventuale proscioglimento con formula più favorevole.

    Nel senso dell'interpretazione maggiormente restrittiva doveva, però, pronunciarsi la Corte costituzionale.

    Quest'ultima, posta di fronte alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 88 c.p.p. 1930 - nella parte in cui avrebbe limitato l'operatività della sospensione del processo penale alle ipotesi di incapacità sopravvenuta dell'imputato, escludendola nei casi in cui l'infermità psichica fosse risalita al tempus commissi delicti e perdurasse nel corso del procedimento - con riferimento all'art. 3 Cost. (in quanto l'infermo di mente tunc et nunc e l'infermo di mente soltanto nunc, pur trovandosi, sul piano processuale in condizioni identiche, avrebbero ricevuto un trattamento differenziato) e all'art. 24 comma 2 della stessa Carta (in quanto la norma impugnata non avrebbe consentito all'infermo di mente tunc et nunc l'esplicazione della necessaria autodifesa), dichiarava infondata la suddetta questione.

    Per quanto riguardava l'art. 3 Cost., si sosteneva che la sospensione del processo nel caso di infermità di mente sussistente al momento del fatto e perdurante nel corso del procedimento sarebbe stata causa di una ingiustificata stasi processuale, perchè a una tale condizione psichica del prevenuto sarebbe dovuta necessariamente conseguire - salva l'applicabilità di una formula più favorevole - una decisione di proscioglimento per difetto di imputabilità; in relazione all'art. 24 Cost., veniva negata la dedotta violazione del diritto di difesa, perchè la carenza di una responsabile valutazione, da parte dell'imputato, delle conseguenze del suo comportamento avrebbe trovato congrui rimedi nell'assistenza del difensore e nella valutazione critica, da parte del giudice, della fondatezza delle dichiarazioni rese dall'incapace di intendere o di volere.[14]

    Al di là dello spirito paternalisticamente inquisitorio che caratterizzava tale decisione, non si possono non rilevare le profonde carenze della disciplina della infermità mentale sopravvenuta quale delineata dal c.p.p. 1930: a processo sospeso, l'incapace, previa eventuale perizia, era passibile di un ricovero, senza limiti di tempo nè obbligo di controlli periodici sullo stato psichico, in un manicomio giudiziario, con conseguente possibilità di divenire un "eterno giudicabile"; inoltre, il giudice, nonostante la sospensione, poteva pur sempre compiere "gli atti necessari per l'accertamento del reato", in cui, peraltro, non era in alcun modo garantita l'autodifesa dell'imputato.

  3. Alle anzidette carenze il legislatore delegato, con il c.p.p. 1988, ha ritenuto di porre rimedio attraverso una nutrita serie di disposizioni (artt. 70-73), radicalmente innovatrici.

    Alla base della nuova regolamentazione sta la rilevata esigenza di distinguere nettamente due aspetti: da un lato, si è cercato di ricondurre la disciplina strettamente 'processuale' dei rapporti tra anomalie mentali e processo penale ad una più coerente visuale di tutela della possibilità di 'cosciente partecipazione dell'imputato al processo'; dall'altro, ci si è preoccupati di regolare in un'ottica di mera "supplenza" (nei confronti degli organi competenti ai sensi delle leggi sull'assistenza psichiatrica) gli interventi del giudice penale, per quel che riguarda i provvedimenti sulla persona dell'infermo di mente.[15]

    Quanto al primo aspetto, è stato abbandonato il riferimento al criterio sostanzialistico della capacità di intendere e di volere, con accentuazione del profilo propriamente processuale dell'infermità, prescrivendosi che questa è rilevante ai fini del provvedimento sospensivo quando determini una situazione tale da impedire la "cosciente partecipazione" dell'imputato al procedimento (artt. 70 comma 1 e 71 comma 1).[16]

    La formula così adottata ben sottolinea "il diverso spirito che permea la nuova disciplina: in un processo, ispirato ai principi del sistema accusatorio, nel quale è valorizzato il ruolo dell'imputato, è preminente l'esigenza di assicurarvi la partecipazione attiva di questo soggetto, la quale si puù realizzare solo attraverso una responsabile e quindi cosciente valutazione delle conseguenze di ogni comportamento processuale".[17]

    E' da notare che, come già l'art. 88 c.p.p. 1930, l'art. 70 comma 1 attribuisca rilevanza, ai fini del regime garantistico, alla sola infermità mentale, con esclusione della mera infermità fisica. Tuttavia, ben è stato rilevato che il suddetto trattamento può estendersi alle malattie fisiche, quando queste si riflettano sulla psiche dell'imputato in modo da escluderne la capacità di partecipare coscientemente al procedimento.[18]

    Assai innovatrice, poi, rispetto alla disciplina previgente, è la regolamentazione dei provvedimenti da prendere sul presupposto dell'anzidetta infermità.

    Ai sensi dell'art. 70, il giudice, quando non debba pronunziare sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, se occorre, dispone anche di ufficio perizia (comma 1); durante il tempo necessario per l'espletamento di quest'ultima, lo stesso magistrato assume, a richiesta del difensore, le prove che possono condurre al proscioglimento dell'imputato, e, quando vi è pericolo nel ritardo, ogni altra prova richiesta dalle parti (comma 2); se, poi, l'esigenza di provvedere risulta durante le indagini preliminari, la perizia è disposta dal giudice con le forme previste per l'incidente probatorio; nel frattempo, restano sospesi i termini per le suddette indagini e il pubblico ministero compie i soli atti che non richiedono la partecipazione cosciente della persona sottoposta al procedimento; quando vi è pericolo nel ritardo, possono essere assunte le prove nei casi previsti dall'art. 392 (comma 3).

    Inoltre, al vecchio regime di sospensione per un tempo indefinito del procedimento, con possibilità di compiere attività giudiziarie di indagine al di fuori di ogni intervento autodifensivo, viene sostituita una disciplina più attenta alle esigenze di tutela dell'incapace.

    Anzitutto, per l'art. 71, se, a seguito degli accertamenti peritali, risulta la suddetta fattispecie di infermità dell'imputato, il giudice dispone con ordinanza che il procedimento sia sospeso, sempre che non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere (comma 1); con il provvedimento di sospensione, il giudice nomina all'imputato un curatore speciale, designando, di preferenza, l'eventuale rappresentante legale (comma 2); detta ordinanza è impugnabile per cassazione da pubblico ministero, imputato, suo difensore o curatore speciale nominato dal prevenuto (comma 3); la sospensione non impedisce al giudice di assumere le prove che possono condurre al proscioglimento dell'imputato e, quando v'è pericolo nel ritardo, ogni altra prova richiesta dalle parti; a tale acquisizione il giudice procede anche su richiesta del curatore speciale, che in ogni caso ha facoltà di assistere agli atti disposti sulla persona dell'imputato, nonchè agli atti cui questi ha facoltà di partecipare (comma 4); se la sospensione interviene nel corso delle indagini preliminari, si applica la disposizione prevista dall'art. 70 comma 3 (comma 5); la sospensione non impedisce l'esercizio dell'azione privata in sede propria da parte di chi già si sia costituito parte civile nel processo penale (comma 6).

    Come è possibile rilevare, tra le altre innovazioni, il legislatore delegato ha previsto l'obbligo di nominare all'infermo di mente un curatore speciale, chiamato a rimediare, per quanto possibile, alla mancanza dell'intervento autodifensivo dell'imputato.

    L'art. 72, poi, tende ad eliminare il fenomeno degli "eterni giudicabili", prevedendo controlli periodici sullo stato di mente del prevenuto, ai fini di un'eventuale revoca del provvedimento di sospensione.

    In particolare, alla scadenza del sesto mese dalla pronuncia di quest'ultimo, o anche prima quando ne ravvisi l'esigenza, il giudice dispone ulteriori accertamenti peritali sulle condizioni psichiche dell'imputato; analogamente provvede ad ogni successiva scadenza di sei mesi, qualora il procedimento non abbia ripreso il suo corso (comma 1); la sospensione è revocata non appena risulti che lo stato mentale del prevenuto ne consente la cosciente partecipazione al procedimento ovvero che nei confronti del medesimo deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere.

    Quanto al secondo, suaccennato, aspetto evidenziato dalla Relazione al progetto preliminare, i provvedimenti cautelari adottabili nei confronti dell'imputato infermo di mente sono stati regolati in modo da escludere un autonomo, indiscriminato, potere del giudice, quale sussisteva vigente l'art. 88 comma 1 c.p.p. 1930, e da sottolineare il ruolo vicario della suddetta autorità rispetto a quello degli organismi sanitari.

    Per l'art. 73, difatti, in ogni caso in cui lo stato di mente del prevenuto appare tale da renderne necessaria la cura nell'ambito del servizio psichiatrico, il giudice informa con il mezzo più rapido l'autorità competente per l'adozione delle misure previste dalle leggi sul trattamento sanitario per malattie mentali (comma 1; in particolare, ai sensi dell'art. 33 della legge 23 dicembre 1978 n. 833, sulla istituzione del servizio sanitario nazionale, competente a disporre accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori è il sindaco); solo qualora vi sia pericolo nel ritardo, il giudice deve disporre anche di ufficio il ricovero provvisorio in idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero, fermo restando, però, che tale ordinanza perde in ogni caso efficacia nel momento in cui viene data esecuzione al provvedimento dell'autorità sanitaria (comma 2). Unicamente quando è stata o deve esser disposta la custodia cautelare dell'imputato il giudice, in conformità all'art. 286 comma 1, può disporre il ricovero provvisorio in idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero accompagnato dai provvedimenti necessari per prevenire il pericolo di fuga (comma 3); infine, nel corso delle indagini preliminari, è il pubblico ministero a dover informare l'autorità sanitaria o, se ne ricorrono le condizioni, richiedere al giudice il provvedimento di ricovero in idonea struttura psichiatrico-ospedaliera (comma 4).

  4. Nella sua versione originaria, l'art. 70 comma 1 c.p.p. 1988 limitava la rilevanza dell'infermità mentale, per l'applicabilità della suesposta disciplina, al caso in cui tale situazione fosse "sopravvenuta al fatto". Tale restrizione derivava dalla preoccupazione del legislatore delegato che la mancata distinzione tra infermità "sopravvenuta" ed infermità "originaria" finisse per provocare una "sensibile alterazione della stessa disciplina sostanziale dell'infermità mentale".[19]

    Siffatta limitazione formò oggetto di una questione di costituzionalità, in quanto escludeva la possibilità di sospensione nell'ipotesi d'infermità - determinante incapacità di partecipare coscientemente al processo, ma non anche esclusione della capacità di intendere o di volere - già sussistente nel momento del commesso reato e successivamente protrattasi.

    Si adduceva, a tale riguardo, un contrasto con il principio di eguaglianza e con il diritto di difesa. In particolare, l'art. 3 Cost. sarebbe stato violato per l'irragionevole diversità di trattamento ravvisabile tra l'affetto da infermità di mente sopravvenuta non coincidente con la totale incapacità di intendere o di volere ma determinante incapacità di partecipare coscientemente al processo e l'attinto da identica inidoneità nel momento del processo a causa di una malattia già esistente al tempus commissi delicti: pur in presenza, in entrambi i casi, di un soggetto non in grado di partecipare coscientemente al processo, solo nella prima ipotesi era prescritta la sospensione; e ciò, nonostante che, nella seconda, il processo potesse concludersi con una sentenza di condanna.

    A sua volta, l'art. 24 comma 2 Cost. sarebbe risultato compromesso dall'obbligo di celebrare un giudizio nei confronti di soggetto processualmente incapace passibile anche di condanna.

    La questione veniva ritenuta fondata dal giudice delle leggi.

    In tal senso, quest'ultimo rilevava che, nei casi in cui l'infermità mentale, non coincidente con la totale incapacità di intendere o di volere, fosse risalita al tempus commissi delicti e perdurasse nel corso del procedimento, non potendo trovare applicazione la disposizione impugnata, sarebbe rimasto precluso l'epilogo consistente in una decisione di proscioglimento o di non luogo a procedere.[20]

  5. A tal punto della presente rassegna, sembra di dover tornare sul nuovo canone ispiratore del regime della incapacità dell'imputato: l'impossibilità di una sua cosciente partecipazione al procedimento (v. artt. 70 comma 1 e 71 comma 1).

    Si tratta, evidentemente, di un concetto che abbraccia un ambito di situazioni più vasto rispetto a quanto non facesse l'art. 88 comma i c.p.p. 1930 con il riferimento al criterio sostanzialistico dell'incapacità di intendere o di volere: altro è siffatta completa privazione delle proprie facoltà intellettive o volitive, altro è il non saper comprendere il significato degli atti procedimentali ed adeguare, consapevolmente e volontariamente, ai medesimi la propria, susseguente, condotta; insomma, ai fini della capacità, l'art. 70 comma i esige un quid pluris di quanto non si faccia agli effetti della imputabilità di diritto sostanziale.

    Quale deve essere, allora, il criterio discriminatore fra le fattispecie in cui la capacità procedimentale va ritenuta e quelle nelle quali, invece, la medesima dev'essere negata?

    Secondo un'autorevole dottrina[21], "partecipa coscientementeà chi intende il senso elementare dell'avvenimento: lo stanno giudicando per quel fatto e se risultasse colpevole, sarebbe condannato; non à capace chi viva il processo come un happening tra burloni o messinscena relativa a un sosia o creda che quei signori siano convenuti là a premiarlo".

    A nostro avviso, quella così delineata è una concezione "minimalistica" della capacità procedimentale che non vale a distinguere quest'ultima dalla mera imputabilità: non rendersi conto di essere sottoposto a procedimento e passibile di condanna o delirare fino a fraintendere completamente il significato degli eventi procedimentali significa, in sostanza, essere affetti da quel vizio totale di mente cui fa riferimento l'art. 88 c.p.

    Neppure sembra esatto identificare l'infermità psichica che esclude la cosciente partecipazione al procedimento con la malattia "tale da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere o di volere", cioè, con il vizio parziale di mente previsto dall'art. 89 c.p.[22]

    A parte le incertezze cui dà luogo, in sede psichiatrica e giuridica, la categoria della "semimputabilità"[23], non pare che il ricorso a quest'ultima sia idoneo per una adeguata valutazione della capacità procedimentale.

    Infatti, al fine di comprendere appieno la portata del requisito posto dagli artt. 70 comma i e 71 comma 1, è necessario intenderne la ragion d'essere profonda; la quale non può essere ravvisata che nella volontà di garantire il diritto di autodifesa, sul ritenuto presupposto dell'insufficienza della sola difesa tecnica a coprire l'intera area della difesa dell'imputato.[24]

    Sembra, allora, che, per verificare la capacità o no di partecipare coscientemente al procedimento, non resti che far riferimento, caso per caso e volta per volta, alla attitudine o no al consapevole esercizio di quelle facoltà in cui l'autodifesa viene via via a specificarsi.

    Così, ad esempio, si dovrà tener conto dell'idoneità dell'imputato a: a) la piena comprensione dell'addebito di cui gli si fa carico (v., per es., gli artt. 65 comma 1, 369 comma 1, 417 lett. b), 423, 429 comma i lett. c), 516-518); b) tenere quei comportamenti che costituiscono il contenuto negativo dell'autodifesa, quali il silenzio durante l'interrogatorio (art. 64 comma 3), la rinuncia a comparire in dibattimento (art. 488 comma 1), il rifiuto dell'esame (art. 208); c) esercitare in positivo l'autodifesa, rispondendo con contezza alle domande rivoltegli in sede di interrogatorio (art. 65 comma 2) o di esame (art. 503 comma 2); d) gestire, attraverso una scelta cosciente e volontaria, le varie possibilità di "giustizia negoziata" offertegli dalla previsione dei diversi "riti alternativi" (v., per es., artt. 438 comma i e 444 comma 1); e) acquistare piena coscienza del contenuto e del significato della sentenza, ai fini di un libero e consapevole esercizio del diritto d'impugnazione (v. art. 571 comma 1).

    Sembra, insomma, che una verifica relativa alla capacità di partecipare al procedimento da parte di chi vi è sottoposto non possa consistere se non in una indagine clinica la quale tenga conto, pro casu, del tipo di attività da compiersi e delle scelte che in relazione alle medesime il prevenuto è chiamato ad effettuare.

RIASSUNTO

Per il giudizio relativo alla capacità processuale dell'imputato, il c.p.p. 1988 (artt. 70 e 71) ha sostituito il criterio della capacità di intendere e di volere, già usato nel c.p.p. 1930 (art. 88), con quello della capacità di partecipare coscientemente al procedimento. Si esige, in tal modo, un quid pluris rispetto a quanto veniva preteso con l'adozione del parametro sostanzialistico, essendo scopo della nuova disciplina quello di garantire il diritto di autodifesa, sul ritenuto presupposto dell'insufficienza della sola difesa tecnica. Ne deriva che, per verificare in concreto la sussistenza o non del requisito di cui ai menzionati artt. 70 e 71, occorre verificare, pro casu, se il prevenuto abbia o no attitudine al consapevole esercizio di quelle facoltà in cui l'autodifesa viene via via a specificarsi. Ciò impone il ricorso ad una indagine clinica la quale tenga conto, per ciascuna fattispecie, del tipo di attività da compiersi e delle scelte che, in relazione alla medesima, il soggetto in questione è chiamato ad effettuare.

SUMMARY

About the 'judgement concerning the defendant's competence to stand trial, the criminal procedure code 1988 (articles 70 and 71) has replaced the principle of being of sound mind, already used in the criminal code 1930 (art.88), with the capacity of taking consciously part in the process. So, it is necessary a quid pluris in comparison with what the substantial parameter needed, as the new discipline aims at assuring the right to self-defence, since it considers insufficient the only technical defence. Consequently, in order to prove the concrete subsistence of the requisite required in the articles 70 and 71, it is necessary to verify, pro casu, whether or not the defendant has aptitude for a conscious exercise of those faculties where the self-defence defines itself. All that demands the recourse to a clinical inquiry that contemplates, for each case in point, the kind of activity to fulfil and the choices that, with reference to the same, the subject in question has to take.

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

  • AIMONETTO M. G., L'incapacità dell'imputato per infermità di mente, Giuffrè, Milano, 1992.
  • AIMONETTO M. G., Sospensione del processo penale per infermità di mente dell'imputato, Giur. Cost., 1992.
  • AMODIO E., DOMINIONI O., Commentario del nuovo codice di procedura penale, Giuffrè, Milano, 1989.
  • ANDRIOLI V., Appunti di procedura penale, Jovene, Napoli, 1965.
  • APRILE E., Incapacità processuale, diritto di autodifesa e sospensione del processo penale dopo la sentenza della Corte Costituzionale, n.340/1992, Nuovo Diritto, 1992.
  • BARILE P., Il soggetto privato nella Costituzione Italiana, CEDAM, Padova, 1953.
  • CAVALLARI V., La capacità dell'imputato, Giuffrè, Milano, 1968.
  • CERETI P., Diritto costituzionale italiano, 6a ed., UTET, Torino, 1963.
  • CHIAVARIO M., Commento al codice di procedura penale, secondo aggiornamento, UTET, Torino, 1993.
  • CONSO G., GREVI V., NEPPI MODONA G., Il progetto preliminare del 1988, CEDAM, Padova, 1990.
  • CONTIERI E., Imputabilità e capacità processuale, Foro Penale, 35, 1959.
  • CORDERO F., Procedura penale, 3a ed., Giuffrè, Milano, 1995.
  • Corte Costituzionale, 24 maggio 1979, n.23.
  • DELITALA G., Dell'applicazione delle misure di sicurezza, Riv. It. Dir. Pen., 68, 1935.
  • DUBOLINO P., BAGLIONE T., BARTOLINI F., Il nuovo codice di procedura penale, La Tribuna, Piacenza, 1990.
  • Enciclopedia del Diritto, VI, Milano, 1960.
  • FOSCHINI G., L'imputato. Studi, Giuffrè, Milano, 1956.
  • FOSCHINI G., Sistema del diritto processuale penale, 2a ed., I, Giuffrè, Milano, 1965.
  • GIARDA A., Infermità mentale dell'imputato al tempo del fatto e sospensione del processo, Corr. Giur., 1992.
  • GREVI V., Imputato minorenne e impugnazione del genitore, Giuffrè, Milano, 1970.
  • KOSTORIS R. E., La rappresentanza dell'imputato, Giuffrè, Milano, 1986.
  • LAVAGNA C., Capacità di diritto pubblico, Enc. dir., VI, Giuffrè, Milano, 1960, 89.
  • LEONE G., Trattato di diritto processuale, I, Jovene, Napoli, 1961.
  • Proposta di legge n.151 d'iniziativa del deputato Corleone, presentata il 9 maggio 1996, Atti parlamentari, Camera dei Deputati, XIII Legislatura. Disegni di legge e relazioni. Documenti, 6.
  • Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, Supplemento ordinario n.2 alla Gazzetta Ufficiale n.250 del 24 ottobre 1988 - Serie Generale, 30.
  • ROMANO M., GRASSO G., Commentario sistematico del codice penale, 2a ed., II, Giuffrè, Milano, 1996.
  • ROMANO S., Scritti Minori, II, Giuffrè, Milano, 1950.
  • SABATINI G., Trattato dei procedimenti incidentali nel processo penale, UTET, Torino, 1953.
  • ZANOBINI G., Corso di diritto amministrativo, 8a ed., I, Giuffrè, Milano, 1958.

(*) Istituto di Diritto Processuale della Università di Siena, Piazza San Francesco, 53100 Siena.

  • [1] ROMANO S., L'età e la capacità della persona nel diritto pubblico, Scritti minori, II, Giuffrè, Milano, 1950, 197; BARILE P., Il soggetto privato nella Costituzione italiana, CEDAM, Padova, 1953, 8; CAVALLARI V, La capacità dell'imputato, Giuffrè, Milano, 1968 170; CERETI P., Diritto costituzionale italiano, 6a ed., UTET, Torino, 1963, 151; KOSTORIS R.E., La rappresentanza dell'imputato, Giuffrè, Milano, 1986, 28; LAVAGNA C., Capacità di diritto pubblico, Enc. dir., VI, Giuffrè, Milano, 1960, 89.
  • [2] CAVALLARI V., loc. cit.; KOSTORIS R.E., loc. cit.; ZANOBINI G., Corso di diritto amministrativo, 8a ed., I, Giuffrè, Milano, 1958, 5.
  • [3] LEONE G., Trattato di diritto processuale penale, I, Jovene, Napoli, 1961, 462; cfr. CAVALLARI V., op. cit., 172; cfr. pure ANDRIOLI V., Appunti di procedura penale, Jovene, Napoli, 1965, 470-471; CONSO G., Capacità processuale penale, Enc. dir., VI, Milano, 1960, 140; DOMINIONI O., Imputato, ivi, XX, 1970, 812; FOSCHINI G., L'autodifesa dell'imputato, L'imputato. Studi, Giuffrè, Milano, 1956, 34; GREVI V., Imputato minorenne e impugnazione del genitore, Giuffrè, Milano, 1970, 27 ss.
  • [4] CAVALLARI V., op. cit., 180.
  • [5] CAVALLARI V., op. cit., 180-181.
  • [6] CAVALLARI V., op. cit., 182-183.
  • [7] Le altre ipotesi di deroga erano quella dell'intervento del genitore o del tutore in ordine alla presentazione o alla revoca dell'impugnazione per l'imputato sottoposto a patria potestà o tutela (artt. 192 comma 2 e 193 comma 1 c.p.p. 1930), e quella della rappresentanza del genitore, della rappresentanza del tutore o dell'assistenza del curatore per l'accettazione della remissione della querela quando l'imputato fosse minore degli anni ventuno o interdetto o inabilitato (art. 152 c.p.) (CONSO G., op. cit., 146).
  • [8] CONSO G., loc. ult. cit.; cfr. CAVALLARI V., op. cit., 205; LEONE G., op. cit., I, 462; SABATINI G., Trattato dei procedimenti incidentali nel processo penale, UTET, Torino, 1953, 245.
  • [9] CONSO G., op. cit., 146.
  • [10] CONTIERI E., Imputabilità e capacità processuale, Foro pen., 1959, 35; DELITALA G., Dell'applicazione delle misure di sicurezza, Riv. it. dir. pen., 1935, 68; FOSCHINI G., Sistema del diritto processuale penale, 2a ed., I, Giuffrè, Milano, 1965, 277.
  • [11] CONSO G., op. cit., 146, nota 58.
  • [12] LEONE G., op. cit., I, 468.
  • [13] CAVALLARI V., op. cit., 219, ss.
  • [14] Corte Cost. 24 maggio 1979, n. 2.
  • [15] V. Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, Supplemento ordinario n. 2 alla "Gazzetta Ufficiale" n. 250 del 24 ottobre 1988 - Serie generale, 30.
  • [16] Così STURLA M. T., sub artt. 70-73, Commentario del nuovo codice di procedura penale a cura di AMODIO E. e DOMINIONI O., I, Giuffrè, Milano, 1989, 421; cfr. anche CORDERO F., Procedura penale, 3a ed., Giuffrè, Milano, 1995, 229-230.
  • [17] STURLA M. T., op. cit., 421-422.
  • [18] AIMONETTO M. G., L'incapacità dell'imputato per infermità di mente, Giuffrè, Milano, 1992, 111.
  • [19] Cfr. Relazione, cit., 30.
  • [20] Corte Cost. 20 luglio 1992, n. 340. Su tale decisione v. AIMONETTO M. G., Sospensione del processo penale per infermità di mente dell'imputato, Giur. Cost., 1992, 2744-2748; APRILE E., Incapacità processuale, diritto di autodifesa e sospensione del processo penale dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 340/92, Nuovo dir., 1992, 747-750; GIARDA A., Infermità mentale dell'imputato al tempo del fatto e sospensione del processo, Corr. Giur., 1992, 1219-1220; KOSTORIS R. E., sub art. 70, Commento al codice di procedura penale coordinato da CHIAVARIO M., secondo aggiornamento, UTET, Torino, 1993, 51-55.
  • [21] CORDERO F., op. cit., 231.
  • [22] V., in tal senso, DUBOLINO P., BAGLIONE T. e BARTOLINI F., Il nuovo codice di procedura penale, La Tribuna, Piacenza, 1990, 165.
  • [23] Per un accenno v. ROMANO M. e GRASSO G., Commentario sistematico del codice penale, 2a ed., Il, Giuffrè, Milano, 1996, 39.
  • [24] Cfr., anche per richiami retrospettivi, AIMONETTO M. G., L'incapacità dell'imputato, cit., 55.57. Nell'ambito di una più generale riforma delle norme in tema di imputabilità e di trattamento penitenziario del malato di mente autore di reato è stata prospettata anche una sostituzione dell'art. 70. Secondo il testo proposto, "Quando l'imputato a causa di infermità mentale non sia in condizione di partecipare al processo se non derivandone pregiudizio alla salute, il giudice, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, dispone con ordinanza, in ogni stato e grado del procedimento di merito, la sospensione del procedimento. In tal caso informa, ove occorra, l'autorità competente per l'adozione delle misure previste dalla legge sull'assistenza psichiatrica. Per gli accertamenti necessari il giudice può anche ordinare visita medica" (Proposta di legge n. 151 d'iniziativa del Deputato Corleone, presentata il 9 maggio 1996, in Atti Parlamentari. Camera dei Deputati. XIII legislatura. Disegni di legge e relazioni. Documenti, 6).